martedì 30 gennaio 2018

Il Grande Stabilimento di Manoscritti di Rosslyn

Di Guillame Beaujeau
Uno dei tesori della Libreria Nazionale di Scozia è il manoscritto realizzato a Rosslyn nel 1456 circa. Secondo quanto riportato sullo stesso, Gilbert Hay, cavaliere, ne effettuò la traduzione e produsse le 3 parti a forma di portafoglio seguendo le istruzioni di William Sanctclare di Rosslyn. Un piccolo riquadro (Patricus Lowes Me Ligavit), unito al nastro di pelle, indica che il rilegatore fu Patrick de Lowis, un cittadino di Rosslyn che morì nel 1466. Quel nastro di pelle, finemente lavorato, è riconosciuto come il più importante esempio del suo genere nelle Isole Britanniche. Questo è solo uno dei molti manoscritti conosciuti ad essere associati a Rosslyn. I fabbricanti di carta, traduttori ed amanuensi facevano certamente parte dello stabilimento annesso alla grande libreria di Rosslyn Castle saccheggiata nel 17° secolo. Grazie alla traduzione e riproduzione di questi si pensa che Rosslyn poteva essere collegata con Anju in Francia (alcuni dei lavori prodotti a Rosslyn si sa che hanno avuto origine là).
5 manoscritti ricollegabili a St. Clair sono nella Libreria Nazionale di Scozia e ciascuno porta una o più firme sue. Uno di questi è un gigantesco compendio di 1000 pagine scritte a mano principalmente da James Mangnet nel 1488 circa. Commissionato da William St. Clair, che dall’intestazione risulta essere il primo proprietario, esso contiene Leggi della Corporazione, Leggi Forestali nonché Leggi e Costumi dei Maestri d’Ascia. Tutte norme vitali per le Corporazioni Operative Scozzesi! Un lavoro necessario anche per le indicazioni legali dei loro patroni, protettori ed arbitri ereditari: i St. Clairs di Rosslyn. 
Questo scritto è la traduzione di una parte del libro sottostante, acquistabile, in inglese, presso lo store della Cappella di Rosslyn.

sabato 20 gennaio 2018

I Templari sono nati in Italia

“La storiografia ufficiale sui Templari afferma da sempre che il primo Gran Maestro dell'Ordine, Hugues de Payns, avesse origini francesi (...), ma esistono fonti storiche certe che avvalorino tale comune convinzione? La versione originale di: "Historia rerum in partibus transmarinis gestarum" di Guglielmo di Tiro, libro 12, Capitolo 7, fa riferimento al: "viri venerabilis, Hugo de Paganis" e non a Hugo de Payns. Nel Medioevo era molto frequente l'uso della y al posto della "i". Pains era anche un errore comunemente commesso nella trascrizione del termine pisano (...) "A scrivere la storia sono i popoli vincenti, sicché ai perdenti non resta altro che tramandare la loro verità con il velato linguaggio dei simboli o sussurrandolo all'orecchio di persone fidate (...) La storia è spesso usata come strumento di propaganda del sistema dominante allo scopo di cancellare ogni scomoda realtà contraria al suo potere (...)" Chi fu quindi il primo Gran Maestro dei Templari? Quale fu il contesto storico, spirituale, misterico che condusse alla formazione dell'Ordine Templare? Il libro di Massimo Agostini: "Et in Arcadia Ego: i miti dei Popoli del Mare" Tipheret Editore, attraverso alcuni documenti ritrovati nell'archivio segreto di una nobile famiglia Toscana, fornisce interessanti ipotesi e verità sull'origine italiana dell'Ordine dei Cavalieri Templari. Ugo de Pagani EMI(u)raici di Pisa (... m 1136) dell'antica famiglia etrusca dei Venulei, viene indicato come primo Gran Maestro dei Templari. La Repubblica marinara di Pisa ebbe un ruolo fondamentale nelle Crociate, fornendo uomini e mezzi. Nota agli storici locali l'importate presenza a Pisa di un Priorato dell'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni e dei Templari. Centro culturale del mondo ebraico, Pisa, attraverso i mercanti ebrei divenne il fulcro di scambi culturali, con la riscoperta di antiche tradizioni religiose impregnate dei segreti del Tempio di Gerusalemme. La nobile famiglia dei Pagano Emb(u)riaci, imparentata con importanti famiglie normanne, discendeva dagli Esilarchi, ovvero i discendenti della stirpe davidica in esilio, e per questo depositati di un'antica conoscenza!

domenica 7 gennaio 2018

Il segreto iniziatico nella via del cuore


Nel mondo iniziatico si sente spesso affermare che la verità non è rivelabile, ed è così: come spiegare le proprie esperienze interiori, come far comprendere agli altri un vissuto che non gli appartiene.
Ognuno vive la solitudine del proprio divenire pur condividendo con altri, emozioni, amori, esperienze quotidiane di vita. L’unico amico che ci è concesso di conoscere è infatti lo specchio della nostra essenza con la quale ci troviamo, se osservatori attenti, ad un confronto serrato unico,
assoluto, universale.
Nessun essere che è altro da noi, per quanto amato e caro, potrà mai comprendere la nostra sensibilità, i nostri più nascosti pensieri, le nostre emozioni, desideri, conoscenze.
Viviamo con gli altri, ma alla fine ognuno si ritrova solo con se stesso, una solitudine che sembra appartenere a chi ama e fortemente sente l’immensità dell’anima, divenendo buona amica per chi, dotato di sensibilità, cerca di vivere consapevolmente l’esperienza interiore delle proprie emozioni.
Riflettere su se stessi, la pratica del silenzio, il simbolico abbandono dei “metalli”, ovvero del materialismo inteso come inconsapevole vissuto di ogni quotidiano divenire; costituiscono in questo percorso le fasi simboliche di un costante, duro, intimo, lavoro personale, senza limiti e confini, guidato esclusivamente dal proprio solitario rapporto evocativo con gli antichi e misterici insegnamenti, con il simbolismo di un Tempio e, se si è fortunati, con gli stimoli di pochi illuminanti Maestri.
Il viaggio iniziatico è un viaggio di purificazione durante il quale ci si deve liberare delle parti più negative del sé. L’impulso negativo si presenta come forza autonoma sotto le sembianze di un animale terribile. Il neofita deve impegnare una dura lotta con questa forza antagonista che tende ad uccidere la sua anima. Scopo dell’iniziato non è però di uccidere la bestia, ma piuttosto di sottometterla.
L’anima nera spesso spaventa e per questo evitiamo di guardarla nella sua vera essenza e se potessimo vorremmo anche ucciderla.
Antichi rituali parlano di: Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem (Veram Medicinam) e il rettificare corrisponde all’incontro con la propria essenza più negativa (la bestia, l’anima nera) non per ucciderla, ma per conoscerne tutta la sua potenza, e se ci riesce, usandola
per trovare la propria luce più splendente.

Chi percorre le strade della conoscenza iniziatica si ritrova quindi inevitabilmente a “fare i conti” con la natura duale della propria essenza, vivendo il contrasto cromatico tra il bianco ed il nero della propria intima natura, attraverso lo strumento che i massoni indicano come V\I.\T\R\I\O\L\, ovvero in un processo di intima conoscenza del proprio Sé (Visita Interiora Terrae) per comprendere che è possibile divenire osservatore distaccato e padrone della propria natura (Rectificando), allo stesso modo dell’auriga platonico che governa le opposte nature dei suoi due cavalli (espressione del dualismo dell’anima) per raggiungere l’iperuranio, fonte di ogni illuminata realizzazione (Invenies Occultum Lapidem).
Il nostro operare nella vita dovrebbe essere perciò scevro da verità rivelate, presupposto di ogni possibile pregiudizio, ma bensì essere caratterizzato da percorsi, intimi, personali, esclusivi, di consapevolezza; una consapevolezza che non può essere frutto di insegnamenti più o meno dotti o di erudite cognizioni, trovando più sicuro alimento proprio in quell’intima esperienza di analisi, e nel personale confronto con la propria e altrui essenza.
Se hai dubbi, studia, dopo lo studio medita, formula asserzioni, cerca conferme, dubita ancora”, raccomandava ai fratelli uno dei miei più cari Maestri di Alchimia Spirituale, Bernardo Shin, al secolo Giordano Bruno Galli.
L’essenza di un percorso iniziatico impone quindi dubbi e domande continue, alle quali nessuno potrà mai dare risposte nella ricerca della Verità, essendo ogni verità posta nel cuore di ogni uomo “libero e di buoni costumi”.
In tutte le tradizioni iniziatiche il cuore è infatti il centro spirituale dell’individuo, ovvero il luogo mistico dell’ascolto e dell’incontro con la propria energia potenziale, fonte primaria di Verità. Giustizia e Amore.

Anche per la Bibbia il cuore è una realtà più ampia, che include tutte le forme della vita intellettiva, tutto il mondo degli affetti e delle emozioni, nonché la sfera dell’inconscio in cui affondano le radici di tutte le attività dello spirito.
Per gli Ebrei, il cuore è considerato la sede del potere insito nella prima lettera dell’alfabeto, Alef, che nella ghimatriah cabalistica ha il valorenumerico di trentadue (due lettere Yud contrapposte e in mezzo due lettere Vev) corrispondente alla parola ebraica Lev, che appunto significa cuore.
Il cuore, al pari della lettera Alef, è perciò espressione della Luce divina, e strumento di unione tra macrocosmo e microcosmo, tra coscienza umana e divina, tra finito e infinito; tra Sé inferiore e Sé superiore; tra l’essenza caotica e torbida dell’inconscio e il mondo della “coscienza rivelata”.
Quindi la scintilla di verità è nel cuore e il cuore, sede di Verità e Giustizia, rappresenta lo strumento iniziatico per la propria compiutezza.
Per colui che ricerca questa Verità iniziatica è inevitabile incontrare ostacoli e difficoltà, dovendo sperimentare l’incontro con la propria essenza più oscura, quell’anima nera che, come belva vorace, è capace di divorare ogni anelito di realizzazione nella Luce.
Specchiarsi nel proprio Sé più bestiale, prendere coscienza del demone insito nel proprio essere, rappresenta la parte più terrificante e angosciante del sogno iniziatico.
Il bene e il male, nella loro suprema potenza inconscia, emergono in un terrificante contrasto di forze che si materializzano nei peggiori pensieri o nella più luminosa gioia.
La manifestazione è spesso il frutto del nostro pensiero, l’archetipo ha in sé il tutto e sta all’uomo sapersi unire al dolore o alla gioia e scoprire forse che entrambe non esistono se non come frutto del pensiero.
Un cammino che per alcuni può proseguire verso più elevati livelli di giustizia ed equilibrio, attraverso un percorso di consapevolezza interiore, che assume la valenza di una conoscenza superiore, dove forza e bellezza trovano giusta sintesi nella sapienza iniziatica di colui che tutto vede.
Tale processo iniziatico lo ritroviamo simbolicamente espresso in molti simboli del tempio massonico, non solo nel pavimento a scacchi bianchi e neri, ma anche nella Luna (Iside) e nel Sole (Osiride) che, posti ai lati del triangolo divino, e dietro allo scranno del Maestro Venerabile, donando a quest’ultimo l’immagine di colui tutto vede, con un richiamo all’antica sapienza egizia, che indicava nell’occhio di Osiride resuscitato in Horus, il magico connubio degli opposti.

L’uomo che ha in sé equilibrio e giustizia è solo colui che non si fa sopraffare dai demoni del proprio inconscio poiché ha infatti compreso, non solo come domare il drago interiore, ma bensì come sfruttarne la potenza distruttrice per raggiungere le acque cristalline della realizzazione.
In questi passaggi è forte il messaggio che la rivelazione divina è in noi e non fuori di noi. Solo una ricerca attenta della nostra essenza più intima, valicando il velo dell’inconscio, consente all’uomo libero di accedere alle stanze segrete di ogni magica rivelazione.
La conoscenza conduce inevitabilmente a comprendere che l’essenza del viaggio ha in sé il principio della libertà, di un sentire scevro da ogni dogmatica e fideistica interpretazione, e quindi da pregiudizi e condizionamenti, al fine di sottrarre il proprio io al grigiore del volgo pensante, potendo interrompere circonvoluzioni mentali che nulla hanno a che vedere con lo scopo della nostra sacra vita.
Il sentiero iniziatico, nella consapevolezza del saggio, non può che fondarsi nei principi di tolleranza e fratellanza, affinché anche chi è diverso da noi non assuma l’aspetto del selvaggio, ma al contrario diventi ricchezza inesauribile per la nostra realizzazione.
Nello spirito di per questo sentire ringrazio fraternamente per lo spazio concessomi nella vostra prestigiosa rivista.



articolo di Massimo Agostini pubblicato sulla rivista 

sabato 6 gennaio 2018

IL VIAGGIO INIZIATICO NELL'OLTRETOMBA


SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO
SABRINA CONTI INTERVISTA MASSIMO AGOSTINI

NELNOME DELLA DEA; IL VIAGGIO NELL'OLTRETOMBA

MATRIMONIO SACRO NEL MITO

Il Matrimonio Sacro (Hieros Gamos) intervista a Masimmo Agostini Torino, Salone Internazionale del Libro con Sabrina Conti

venerdì 5 gennaio 2018

giovedì 4 gennaio 2018

La stirpe del signore dai rossi capelli

René Guenon afferma  che "ADAM, il nome Adam significa letteralmente = ROSSO = e questo è uno degli indizi del collegamento della tradizione ebraica con quella atlantidea, che fu la - TRADIZIONE DELLA RAZZA ROSSA - (Forme 1970, 43). Se si riferisce specificamente il nome Adam alla -  tradizione  della razza rossa -, questa corrisponde alla terra, fra gli elementi, così come, fra i punti cardinali, è correlazione con l'Occidente (...)"

Questo sarebbe uno degli indizi del collegamento della tradizione ebraica con quella normanna della "razza rossa" (o rutilismo).
Il rutilismo (chiamato anche gene normanno) è la caratteristica delle persone che hanno capelli rossi, vermigli, biondo ramato e albini, causato da " (...) l'ormone stimolatore di melanociti (MSH) e le endorfine. I melanociti, le cellule che producono il pigmento della pelle e dei capelli, usano l'MC1R che in questi soggetti è mutato, per riconoscere e rispondere al MSH dalla ghiandola pituitaria anteriore".
Se si consultassero i testi dei prof.ri Raphael Patai (1910-1996) e Robert von Ranke Graves (1895-1985), si potrebbe scoprire che sostenevano in “Hebrew Myths" (pubblicata da Doubleday & Co nel 1964) un’origine Edomita degli Alfei, osservando la somiglianza dell'onomastica edomita degli alufim e dei capi della tribù di Giuda. (Agostino Agostini)
Nei secoli passati illustri eruditi (fino all'inizio del novecento) si dedicarono all’analisi delle suggestioni della discendenza dei Pelasgi Alfei (i pisani), da Giacomo d'Alfeo.

L'affermazione di René Guenon trova nella ricerca di Massimo Agostini, ET IN ARCADIA EGO: I MITI DEI POPOLI DEL MARETipheret Editoreun'analisi storico, simbolica, esoterica che conduce il lettore a penetrare antichi misteri iniziatici.
Si riporano di seguito qalcuni brani (da pag. 72  pag. 112) del libro nei quali si seguono le perdute tracce della stirpe dei figli del Signore dai rossi capelli.

 Gli Hyksos e il culto del dio Serpente Seth
Anche i re Hyksos della XV dinastia, al pari dei successivi faraoni della XIX dinastia, scelsero, con il nome Apophis, il simbolo del potere del Serpente: il temibile mostro che nelle acque dell’Ol­tretomba minacciava il Sole (Ra) nel suo percorso notturno di rinascita.
Gli Hyksos, ma con essi anche gli Shardana, e lo stesso Mosè, ebbero un legame di grande devozione nei confronti del Serpen­te, tanto da assumerlo come simulacro nell’avventura dell’Esodo verso la Terra Promessa.
Gli Hyksos provenendo dalla terra di Canaan condussero in Egitto degli Dèi di quella terra che, sebbene chiamati in modo diverso, presentavano attributi simili ad alcune divinità egizie.
In alcuni periodi dinastici l’immagine del Dio Seth era peral­tro associata a quella di Apophis, vedendo nel Serpente dell’Ol­tretomba lo strumento salvifico della “resurrezione” del Dio Atum-Ra, poiché, dopo averlo divorato nella “Camera del Cre­puscolo”, lo risputava purificato dalle sue viscere.

Forse fu proprio per queste analogie tra divinità dai nomi di­versi, ma della stessa sostanza spirituale, che gli Hyksos, una vol­ta insediatisi in Egitto, assunsero come divinità dinastica Seth, il Dio dai rossi capelli, simbolo della potenza devastante della natura, della guerra e della violenza, nemico di Osiride; ricono­scendo nei suoi poteri quelli del loro Dio Ba’al-Ba’al zĕbūl e, nei suoi capelli rossi il segno distintivo dell’antica stirpe dei figli del Signore di Enoc.
Il fatto che nella tradizione egizia le persone dai capelli rossi fossero considerate come discendenti di Seth, giustificherebbe la strana circostanza biblica che vede i figli concepiti per opera del Si­gnore descritti con la caratteristica dei capelli rossi.

La presenza nella Bibbia di figli dai capelli rossi renderebbe plausibile anche l’ipotesi che Abramo fosse in realtà della stirpe di Jafet, identificata proprio dai capelli fulvi, al pari dei ‘Popoli del Mare’.
Il nuovo Seth venne quindi anteposto dagli Hyksos a tutte le altre divinità del pantheon egizio, raffigurandolo con abbiglia­mento e acconciatura simili al Dio Ba’al della terra di Canaan, riconoscendo in lui gli attributi della divinità babilonese. (…)


Capitolo VIII

La stirpe del signore dai rossi capelli


1. Abramo: il Sacerdote del Tempio della ‘Montagna Sacra’

Dopo il Diluvio, il segreto concesso con la divina “Benedizio­ne” sembra perdersi nelle nebbie della “Montagna Sacra”, per poi riapparire ai tempi del patriarca Abramo, allorché incontrò il “Vecchio della Montagna”, Melchisedek, il “sacerdote eterno” che, come anima immortale del Dio incarnato, compì su di lui la sacra cerimonia di investitura.
Abramo sposò la sorellastra Sarai, figlia di Terach, sommo sa­cerdote della città di Ur, nella terra dei Sumeri.[1]

(…)  Omissis

2. Isacco: il figlio del Signore della ‘Montagna Sacra’

Sarai era sterile e, pur di garantire un figlio al suo sposo, concesse ad Abramo di unirsi con una seconda moglie, la principessa egi­ziana Agar, che gli diede come figlio Ismaele.
Qualche tempo dopo, nel periodo dell’anno in cui si cele­brava il raccolto, Abramo vide davanti alla sua tenda tre uomini e li invitò a riposarsi, diede dell’acqua per lavarsi i piedi e Sarai preparò loro da mangiare. Dopo essersi riposati, al momento del congedo, i tre uomini assicurarono che Sarai l’anno successivo avrebbe avuto un figlio.
L’anno dopo, a primavera, come annunciato dai tre uomini, Sarai, per volere di Dio e benedetta da lui, ebbe un figlio al qua­le diede il nome di Isacco, che significa “sorriso di Dio”. Dopo quell’atto ierogamico, il Signore Dio trasformò il nome di Sarai in Sara[2], elevandola da sacerdotessa del tempio terrestre a quella del “Tempio Celeste”, avendo generato un figlio del Signore.

(…)  Omissis

Abramo, dopo la morte di Sara, ebbe una terza moglie di nome Ketura, con la quale generò sei figli; uno di questi, Median, divenne il capostipite di una popolazione di nomadi cammellieri presenti nel territorio del golfo di Acaba. Da altri figli discesero i Dedaniti che vivevano a nord oltre il Mar Rosso (cfr. Is 21,13; Ez 27,20). La presenza della radice ‘DAN’ nel nome dei Dedaniti, porterebbe configurare un possibile successivo intreccio tra quel popolo, disceso da Abramo, con la stirpe di Dan, ma anche con gli antichi Shardana.

(…)  Omissis

3. Mosè, i Medianiti e il Dio Ba’al


(…)  Omissis

4. Esaù dai rossi capelli: il figlio prediletto di Isacco

Da Abramo la “Benedizione” passò a Isacco e da questi al figlio Giacobbe che la carpì al fratello Esaù con l’aiuto della madre Rebecca.
Anche Rebecca, come sua suocera Sara, era sterile, tanto che Isacco pregò il Signore perché gli concedesse un figlio, il Signore lo esaudì e la moglie rimase incinta.
Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché essa era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta. Ora i figli si urtavano nel suo seno ed essa esclamò: «Se è così, perché questo?» Andò a consultare il Signore. Il Signore le rispo­se: «Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si disperderanno; un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo». (Gen. 25, 21-23)
Da quel miracolo ierogamico nacquero due gemelli che ven­nero chiamati: Esaù e Giacobbe.
Il primogenito Esaù, a differenza del fratello, era irsuto e dai capelli rossi; crescendo divenne abile nelle armi e nella caccia e per questo prediletto da Isacco, mentre Rebecca preferiva il se­condogenito Giacobbe.

Quando poi si compì per lei il tempo di partorire, ecco due gemelli erano nel suo grembo. Uscì il primo, rossiccio e tutto come un mantello di pelo, e fu chiamato Esaù. (Gen. 25, 24-25)


(…)  Omissis


5. La ‘Benedizione’ rubata


(…)  Omissis


6. Le dodici tribù di Israele: Ruben il figlio del Signore dai capelli rossi

Dai figli di Giacobbe nacquero le dodici tribù di Israele. Il pri­mogenito di Giacobbe fu Ruben, anche lui come Esaù dai rossi capelli,[1] figlio di Lia e concepito, come nel caso della suocera Rebecca, per opera del Signore, che le aprì il grembo.
Ruben fu un tipo focoso che perdette il diritto alla primoge­nitura per aver giaciuto con Bila, la concubina di suo padre; da Bila nacquero due figli chiamati Dan e Nèftali (forse figli dello stesso Ruben?).
Ruben, tu sei il mio primogenito, il mio vigore e la primizia della mia virilità, esuberante in fierezza ed esuberante in forza.
Bollente come l’acqua, tu non avrai preminenza, perché hai invaso il talamo di tuo padre e hai violato il mio giaciglio su cui eri salito. (Gen. 49, 3-4)
Fatta eccezione per Ruben che, come abbiamo visto, fu con­cepito per opera del Signore quando aprì il ventre di sua madre, tutti gli altri figli di Lia furono invece il frutto del seme di Gia­cobbe che “entrò [più volte] in Lia” (Giubilei XXVIII, 11 e ss.).
Gli altri figli di Giacobbe e Lia furono: Simeone, Levi, Giuda, Issachar, Zebulon e Dina, unica femmina del gruppo.
Giacobbe si congiunse anche con Zilpa, ancella di Lia, dalla quale ebbe due figli: Gad e Aser.
Ebbe in moglie anche Rachele che, sebbene sterile, gli die­de altri due figli: Giuseppe e Beniamino, anche questa volta per opera del Signore.
Giacobbe-Lia-Rachele
Come abbiamo visto, dall’ancella Bila, concubina di Giacob­be, ma anche oggetto del desiderio di Ruben, nacque Dan la cui stirpe ebbe il segno distintivo dei capelli rossi e il simbolo del ser­pente avvolto a un’asta. Forse è proprio per questa caratteristica somatica dei discendenti di Dan che ancora oggi Maria Madda­lena, sacerdotessa dell’Ordine di Dan, viene raffigurata con una fluente chioma rosso rame.
Prima della sua morte, Giacobbe benedì Dan, dandogli il mandato di proteggere tutte le tribù di Israele sotto l’emblema del serpente.

Dan tutelerà la sua gente come ogni altra tribù di Israele. Sia Dan come una serpe sulla strada, una cerasta sulla via, morde il cavallo nel calcagno e il cavaliere cade all’indietro. Io spero, o Signore, nel­la tua salvezza. (Gen. 49.16-18)

Quando venne il tempo dell’Esodo, la tribù di Dan, alla quale si aggiunsero i guerrieri Shardana, ebbe l’occasione di onorare la “Benedizione” di Giacobbe andando a costituire la retroguardia delle tribù in fuga dall’Egitto, adottando come insegna il na­chash, un serpente attorcigliato a un’asta.[2]
  
Guerrieri Shardana

7. Giuseppe figlio di Rebecca: sacerdote nel tempio di Heliopolis

Secondo il racconto biblico, Isacco concesse una seconda “Bene­dizione” anche a Esaù.
Esaù sposò Giuditta, appartenente al popolo degli Ittiti della stirpe di Jafet, la stessa dei leggendari “Popoli del Mare”. 
Giovanni Andrea Ansaldo (1584-1638)
Esaù e Isacco
Giacob­be dalla sua seconda moglie Rebecca ebbe come figlio Giuseppe, che venne venduto come schiavo dai suoi gelosi fratelli, per ritro­varsi poi in Egitto come potente ministro del faraone. Qui sposò la principessa Asnat, figlia del sommo sacerdote di Heliopolis.
Come abbiamo già raccontato, la rapida ascesa dello schiavo Giuseppe all’interno della corte egiziana contiene tutto il mistero del potere magico concessogli dal Signore, allorché profetizzò al faraone la terribile carestia che avrebbe colpito l’Egitto intero. Fu così che Giuseppe divenne un potente ministro del faraone e sommo sacerdote, noto a tutto il popolo con il nome di Yuya.
Giuseppe, nella sua qualità di sommo sacerdote, fu probabil­mente anche fedele interprete dello spirito magico della religione egizia, tanto che alla morte del padre, volle che il corpo di Giacob­be fosse imbalsamato secondo l’usanza rituale di quella religione.
Allora Giuseppe si gettò sulla faccia di suo padre, pianse su di lui e lo baciò. Quindi Giuseppe ordinò ai suoi medici di imbalsama­re suo padre. I medici imbalsamarono Israele e v’impiegarono 40 giorni, perché tanti ne occorrono per l’imbalsamazione. Gli Egizia­ni lo piansero 70 giorni. (Gen. 50, 1-3)
Lo stesso Giuseppe dopo la morte venne imbalsamato affin­ché potesse completare il suo viaggio iniziatico nell’Oltretomba per ritrovare il suo Ka e quello degli antenati.
Giuseppe morì all’età di centodieci anni; lo imbalsamarono e fu posto in un sarcofago in Egitto. (Gen. 50, 26)

(…)  Omissis

mummie di Yuya museo de Il Cairo

 Qualunque fosse stato il culto di Giuseppe, fu comunque gra­zie a lui che le “Tavole Celesti”, chiamate dagli Egizi “Tavole di Thot”, trovarono una sicura custodia nel Sancta Sanctorum del tempio egizio.
Con Giuseppe le tribù ebraiche migrate in Egitto trovano terreno fertile per assumere importanti ruoli sociali e religiosi. Alcuni ricercatori ritengono che gli Ebrei, grazie a Giuseppe, ri­uscirono a conquistare il potere regale, come nel caso del faraone Akenaton, ritenuto figlio di quella stirpe dei re-pastori giunti se­coli prima dalla terra di Canaan.
L’influenza assunta nel tempo dagli Ebrei nella terra dei fara­oni provocò non pochi timori, tanto che, quando nacque Mosè, il faraone ordinò l’uccisione dei neonati maschi.


(…)  Omissis

Secondo le disposizioni di Mosè, gli Shardana, assieme alla tri­bù di Dan, andarono a costituire la retroguardia del popolo in fuga verso la “Terra Promessa” di Canaan, entrambi accomunati dal simbolo del serpente. Sotto quell’emblema i discendenti di Dan mantennero la promessa, contenuta nell’antica “Benedizione di Giacobbe”, di tutelare “la sua gente” e “ogni altra tribù di Israele”.

D’altro canto Mosè, essendo probabilmente della stirpe degli Hyksos migrata in Egitto, non poteva non riconoscere in quegli irsuti “Popoli del Mare” dai rossi capelli, l’appartenenza all’antica stirpe dei figli di Enoc, avendone poi anche conferma nel mes­saggio che questi custodivano, tanto da affidargli la protezione dell’intero popolo in marcia verso la terra di Canaan.
L’esodo di Mosè verso la terra del Signore Yawheh fu lunghis­simo e carico di imprevisti, concludendosi addirittura dopo qua­rant’anni di permanenza nel deserto, e senza che Mosè potesse vedere compiuto il suo sogno poiché la Dea della morte, padrona anche dei sogni, lo colse prima della conquista della Terra Pro­messa di Canaan.

Capitolo IX

Il culto degli Dèi nella Terra Promessa


1. Il dualismo degli Dèi


(…)  Omissis

2. Ba’al Zəbul, il Signore dell’Oltretomba


(…)  Omissis

3. Lilith: il lato oscuro della Luna


(…)  Omissis

4. Seth: figlio di Adamo capostipite della stirpe dei ‘Giusti’

Adamo ebbe tre figli, due dei quali, Abele e Caino, comunemente noti per la delittuosa vicenda fratricida che determino la morte di Abele.
Adamo ebbe pero anche un terzo figlio, chiamato Seth, nato a ‘sua immagine e somiglianza’ (Gen. 5.3).
Giuseppe Flavio, lo storico ebreo-romano, nelle sue “Antichità Giudaiche”, descrive Seth come un uomo virtuoso che trasmise a suoi discendenti la conoscenza dei corpi celesti. Questi per evitare che si perdesse la memoria di quella conoscenza, costruirono due colonne, le “colonne dei figli di Seth”, su cui erano state poste iscrizioni riportanti le leggi della scienza, soprattutto riguardanti l’astronomia.
Le due colonne narrate da Giuseppe Flavio potrebbero avere una valenza simbolica, rappresentando, piu che manufatti in ‘mattoni o in pietra’, due popoli che, come ‘figli di Seth’, furono eredi della sua conoscenza divina.
Seth, egli stesso dai capelli rossi, divenne, nella memoria delle generazioni successive, il Dio dai rossi capelli, venerato dagli egizi e dagli Hyksos,
Alcuni faraoni arrivarono a testimoniare la loro devozione al Dio dai capelli rossi, assumendo, al momento dell’investitura regale il nome ‘Seti’, che significa: ‘figlio di Seth’.
Nella tradizione ebraica Seth e considerato il progenitore di Noe e la Zoar lo definisce il capostipite di tutte le generazione degli Zaddiq: un titolo ebraico che designava i ‘Giusti’.
A quanto pare vi sono parole e nomi che segnano il fluire di una storia, dominandola con la loro costante, presenza, cosi sembra essere anche questa storia, dove alcuni nomi o aggettivi mostravano di volere condizionare il suo proseguo.
La ricerca infatti di una possibile verità sulla nebulosa storia degli Shar Dan, i Judike della Sardegna, condotta anche attraverso la Bibbia, appare segnata dal frequente ritorno di alcuni termini, come nel caso di ‘Giudice’, Seth, Serpente, spesso associati fra loro.
I documenti inviati al mio indirizzo di posta elettronica, gli appunti riportati dalla Scozia e lo studio sull’antica religione, stavano quindi fornendo, proprio con il ripetersi di questi nomi, alcune conferme.
Era ormai sufficientemente chiaro che al centro della difficile questione su chi fosse il vero fondatore dei Templari, esisteva un sottile filo conduttore in grado di sciogliere l’intricata trama di una storia volutamente oscurata dagli uomini.
Il sottile filo era costituito proprio da quelle parole chiave, che, sembravano segnare il destino della mia ricerca.
Il titolo di ‘Giudice’ nelle sue varie accezioni: Zaddiq, Nasi, Nazareno, Maestro ma anche Judikes. o Dan, appariva ormai un’importante traccia, che forse mi avrebbe condotto a una possibile verità.

5. Il giglio e il serpente: simboli di una sacra stirpe

 

(…)  Omissis



[2] La parola ebraica “serpente” in Genesi 3: 1 è Nachash (dalla radice Nachash, a brillare), e significa splendente.[1]“inoltre essa è veramente mia sorella, figlia di mio padre, ma non figlia di mia madre, ed è divenuta mia moglie” (Gen. 20,12).
[2] Sara è un nome di origine biblica che deriva dal termine ebraico Sarah il cui significato è “principessa” o “signora”. Nella tradizione biblica il nome Saray, il cui significato è “litigiosa”, venne modificato da Dio in Sarah con il significato, nel contesto iniziatico, di elevazione spirituale verso la sacralità.
[3] Dal latino rubor = rosso.
[4] La parola ebraica “serpente” in Genesi 3: 1 è Nachash (dalla radice Nachash, a brillare), e significa splendente.